La primavera e’ vicina, il tepore di una giornata insolitamente calda sembra allontanare i preoccupanti rigurgiti dell’acqua che hanno caratterizzato un autunno finito alle porte della bella stagione.

C’è aria di rinnovato ottimismo con un oscar a un film italiano che è una “grande bellezza”, ma soprattutto abbiamo un nuovo governo che ci guiderà senza indugio verso la primavera perché, come a Ponte Carrega, è “cambiato il passo”.  

Nonostante l’aria che tira qualcuno non riesce ancora a digerire il cemento che è stato versato dopo il 4 novembre 2011. Sembra un butto sogno, o come un bambino che si è immedesimato in un racconto malvagio, quel fango spalato con fatica, ora sembra solidificarsi in colonne di cemento che la mente non riesce più a spazzare via. Il quartiere non si risolleverà, questo è certo,  non per l’alluvione ma per quello che è avvenuto dopo. In effetti il passo è stato cambiato, ma occorre capire in quale direzione, dato che il grande l’edificio un primato certamente lo ha, fin troppo ingombrante. Chi non e’ nato in questi luoghi, o chi non li ha frequentati, non può capire. Questo scempio edilizio continuerà a produrre sofferenza e a mantenere aperto un conflitto che non si placherà  perché fisicamente percepito come un’offesa agli abitanti. Il foresto si guarda intorno smarrito, non trova le differenze fra questa e tante altre periferie che ha trattato con uguale superficialità: ruggine e rottami, qualche traccia di antico vissuto, case popolari di operai senza lavoro e il degrado. Le grandi aree dismesse sono tutte uguali.

Il “nulla da riempire” deve essere stato il pensiero di  qualche tecnico, ingegnere o architetto che sia, spinto dagli indicatori di  sistema per massimizzare la speculazione e sfruttare il diritto a edificare.

Riguardo al fatto che la “cosa” poteva essere migliore, la risposta è sempre quella: il cliente ha sempre ragione altrimenti non si compra e non si vende. Questa è la convinzione ferma del mercante alla quale invece l’arte e il buon senso avrebbero consigliato la prudenza, il non buttar via secoli di storia, di cultura e con quello l’ultimo briciolo di umanità che avrebbe voluto far sorgere il bello, il buono e la giusta misura.

Persone, spinte da amorevole convinzione “cooperativa” non hanno esitato acquistare spazio a tre volte il suo valore, pur di non rischiare un concorrente.

Auto e carrello è il destino di tutti, altro non sanno pensare, perché se si abbassa, o si  restringe, il risultato è sempre quello: vieni a comprare.  

 

In tutto questo muover di concetti, propositi, riqualificazioni e speculazioni, piccoli rappresentanti del popolo s’aggirano smarriti al sorgere di un edificio che avevano inteso molto più piccolo e che ora invece appare grande il triplo.

Con il senno del poi, codesti personaggi, vorrebbero vederlo ridotto, ma è troppo tardi, ormai hanno concesso il titolo. Per dire di no, non hanno avuto la forza, perché più del popolo, rincorrono il partito, e in quello la base conta, ma il capitale di più, alla faccia di chi ci ha creduto! Il ponte intanto rimane li, a guardare queste cose, sempre avvezzo a sorprendere. Qualcuno lo vuole già spacciato e in quel posto vuole mettere un bel totem, segno di vittoria del mercato.

Ora i suoi abitanti sono già pronti con una colonna infame, di marmo o di cartone, questo non importa, a inaugurare gli incanti e questi sepolcri.  

Saranno gli abitanti di quei luoghi, i figli di nessuno, che in gran festa, ogni anno, davanti a quei mercati, sapranno rammentare i fatti: “S’ingannarono i miei occhi quella sera” e in terra dei franchi già vola un uccellino a rammentare le cose: di belle e di brutte qui se ne son viste di tutte.