Tramonto a Pontecarrega, da “Trucioli”(1920-1928) di Camillo Sbarbaro

S’ingannarono i miei occhi quella sera o Pontecarrega è in mattone.
La stagione arruginiva il cono cui la borgata s’inerpica, pezzato di vigne.
Alla ruggine e ai mattoni comunicò la nuvolaglia del tramonto un insolito spicco.
Fumarono le prossime pendici.
Attinti, gli alberi del greto, allampanati, bruciarono, fiamme chete.
Dal rogo scampavano solo le querce del sagrato.
Pontecarrega arrossiva.
I torvi picchi dei Forti in corona erano giganti che assistevano alla nascita d’una rosa.
Il prodigio durò poco.
Un attimo ancora la borgata splendette di un più raccolto lume; quasi lo tramandassero le case arroventate: un lume di pietra preziosa.
Quindi, a spegnere tutto, cominciarono a calare, uccellacci, le ombre.
Al ritorno, esprimeva l’ultima luce la vetrata limone dei “Paolotti”.
Sul ponte di tozza pietra bambinelle si davano la mano a girotondo.
Di là del fiume il Caffè dei Velocipedisti sbadigliava pei buchi delle porte la noia della giornata.
Pontecarrega, rosso fiore colto dagli occhi una sera; come un ricordo d’amore tra le pagine chiuso.

Sbarbaro
Camillo Sbarbaro