Il 3 agosto è stato inaugurato il nuovo ponte San Giorgio, ex ponte Morandi. Alla cerimonia erano presenti il presidente della repubblica, del consiglio, il presidente della regione Liguria e il sindaco di Genova. C’erano anche la ministra delle infrastrutture e i presidenti di Camera e Senato. Erano presenti ovviamente l’attuale arcivescovo di Genova, il capo della Protezione Civile e il capo della polizia. Per l’occasione sono state anche fatte volare sopra Genova le frecce tricolore, per celebrare l’apertura del nuovo viadotto autostradale.

Tuttavia, nella celebrazione, sembra essere mancata una riflessione fondamentale:

Cosa ha fatto sì che il 3 agosto ci fossero tutte quelle persone sul ponte, cosa ha reso “necessaria” quella cerimonia?

La risposta più ovvia e scontata sarebbe Il crollo del precedente viadotto Morandi. Tuttavia, non basta, non è sufficiente come spiegazione. Prima ancora ci sono le manutenzioni non fatte e i report falsificati. E prima ancora c’è stata la scelta consapevole e pianificata di qualcuno di anteporre il profitto aziendale e individuale davanti al bene comune, che non è nell’opera del ponte ovviamente, ma nella vita delle persone. In quel momento il Morandi ha iniziato a crollare e le persone che hanno perso la vita hanno iniziato a morire lì.

Ancora una volta nella storia il profitto ha vinto sull’uomo. Non ci sono interpretazioni diverse o possibili altre spiegazioni. Qualcuno ha deciso che il profitto veniva prima della vita, e quindi si tagliano le manutenzioni, perché costano e riducono l’utile, e si riducono il volume di chi intasca quell’utile può concedersi. Non importa se questo comporta la perdita di 43 vite umane.

Da genovesi viene facile fare questo tipo di riflessioni in merito al Morandi, ma lo stesso principio vale purtroppo per la messa in sicurezza delle zone allagabili, vale per la Thyssenkrupp, per le miniere in Sud America, e vale per tanti altri esempi in tutto il mondo.

In questo senso fa riflettere la parola “Inaugurazione”. Fa pensare alla presentazione di qualcosa di nuovo. Si il ponte è nuovo, quello vecchio non esiste più. Ma la logica che ha portato alla necessità della sua costruzione? Quella esiste ancora e ne era pervasa la celebrazione stessa del ponte che da viadotto autostradale è stato trasformato in passerella politica. Perché il profitto non è solo quello dei dividendi. È anche affermazione di sé. E sulla base di questo principio viene facile trasformare un atto criminale, che si è trasformato in tragedia con la morte di 43 persone, in occasione per raccogliere consensi, alimentare il proprio potere, il proprio Io che ancora una volta viene messo davanti al rispetto di chi ha “pagato” realmente quel ponte. Di chi ha perso la vita e di chi nei quartieri vicino al ponte ha continuato a vivere e sopravvivere. Dov’è allora l’inaugurazione, il nuovo? Non c’è. Il tutto si limita semplicemente all’opera ingegneristica celebrata e caricata di conquista politica, ma nulla è cambiato nel rapporto tra la vita e il profitto individuale.

In questi mesi, in cui famiglie intere si sono trovate senza lavoro e con difficoltà a fare la spesa, si è scelto, ancora consapevolmente, di investire denaro pubblico nella celebrazione dell’opera, traguardo ingegneristico e politico di pochi individui.

A Genova però esiste un’altra città, fatta di associazioni, gruppi informali, scout, persone che ha costruito in questi mesi una rete di solidarietà a sostegno di chi perdendo il lavoro ha perso tutto, fino alla possibilità di fare la spesa per la propria famiglia, di garantirne la sopravvivenza e, quindi, la vita. Ne è un esempio il progetto della Spesa Sospesa, attuato in più parti della città, con raccolte alimentari nei supermercati e donazioni di negozianti e cittadini. Sono state raccolte tonnellate di cibo e beni di prima necessità, ma ovviamente questi gesti di comunità vera non possono che essere marginali rispetto alla totalità delle persone che continuano a non riuscire ad arrivare alla fine del mese.

Viene spontaneo in questo senso un pensiero banale: quanto costa in pacchi di pasta far volare le frecce tricolore? Far volare una freccia tricolore costa circa 5000 euro l’ora, da moltiplicare per i 9 aerei, con un totale di 45000 euro. Poi a questi vanno aggiunte spese accessorie per la sicurezza e la manutenzione pre- e post-volo, oltre a dover considerare in questo caso i soldi spesi per l’organizzazione dell’intera cerimonia di riapertura del ponte. Bene con 45000 euro si possono comprare a scelta:

  • 43,2 tonnellate di pasta

  • 11 tonnellate di riso

  • 32000 scatolette di tonno

  • 54000 scatolette di polpa di pomodoro

  • 125000 scatolette di legumi

  • 9000 bottiglie d’olio

  • 7500 confezioni di pannolini

Questi sono alcuni esempi dei beni che sono stati distribuiti dai volontari in questi mesi di crisi a tante famiglie, per le quali un sacchetto equivalente a circa 50 euro di spesa, consegnato due volte al mese, è diventato essenziale.

Quindi non è stato inaugurato niente, è stata aperta un’opera carica delle logiche che hanno portato alla distruzione della precedente. Sarebbe stata una vera inaugurazione se non fosse stata trasformata in passerella politica proprio a ridosso delle elezioni regionali, se fosse garantito che i responsabili delle 43 morti siano processati e paghino per quanto accaduto, se si fosse scelto il rispetto per chi ha perso la vita e per chi vive la periferia della città. Si poteva cominciare destinando le risorse investite nella celebrazione della ricostruzione in progetti di solidarietà, a sostegno di chi è più debole, di chi paga le scelte sbagliate di pochi, ma si è scelto, ancora una volta in modo consapevole, di non farlo.

Ovviamente qui in fondo una riflessione è d’obbligo. Noi che non eravamo su quella passerella abbiamo comunque una responsabilità forte. La responsabilità di indignarci, di chiedere conto delle scelte fatte, di volere leggi diverse e di volere il rispetto per la vita davanti al profitto individuale. In questo Genova storicamente si è dimostrata forte, è importante che non perdiamo questa lunga tradizione.