Nelle Historiae Ecclesiasticae (X, 4, 37 e segg.), Eusebio di Cesarea (IV secolo d. C.) ci dice che nella basilica cristiana del tempo – tra il vestibolo e il tempio – vi è uno spazio aperto, il sagrato, chiamato paradiso, ove si trovavano fontane atte a purificare l’ingresso dei fedeli, quello che avviene ancora oggi nelle moschee islamiche.  Per secoli, in questo paradiso vennero sepolti i defunti (nel diritto romano non era consentito seppellire intra muros).  Dal Basso Medio Evo, le indicazioni delle autorità ecclesiastiche, riguardo alla sepoltura, scarseggiano; ma il sagrato inizia a partecipare alla nuova rinascente comunità urbana. Alla fine del XVI secolo, il cardinale Borromeo, in seguito al Concilio di Trento,  nelle Instructiones Fabricae et suppellectilis ecclesiasticae (libro II, cap. IV), prescrive un atrio chiuso da un portico o un vestibolo. L’atrio perde la sua funzione di luogo di sepoltura o purificazione, per ottenere quello di luogo in cui si svolgono riunioni politiche e civili, tanto che, dal ‘600, sarà necessario l’intervento del Magistero ad impedire gli abusi.

Da lì, al nostro sagrato realizzato circa due secoli fa, il passo è breve, ma dalla simbologia presente nel risseu, potremmo affermare che questo sagrato – in età contemporanea – ancora rappresenta la funzione del mistero del passaggio, dell’oltrepassare la soglia.

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Un rito, che, in epoca anteconciliare, prevedeva la presenza di un battistero esterno al tempio o al suo ingresso e che – in epoche più recenti – conserva quello dell’acqua lustrale nell’acquasantiera. E’ possibile dalle indicazioni che mi vengono suggerite che il sagrato di s. Michele, fosse, originariamente, uno spazio circostante e non antistante l’edificio, ma ciò non contraddice questa funzione. Che è quella appunto di preparare, approntare – mi verrebbe da dire – il credente, in questo caso un pellegrino, che si reca in un luogo di culto dedicato all’arcangelo Michele, protettore di valichi, gioghi, passi, cime da valicare, erede del culto di Odino presso i Longobardi, ma difensore anche dell’anima dalle tentazioni di Lucifero, in origine compagno di Michele, quindi, dopo la sua scissione da Dio, acerrimo nemico. Del resto la sua etimologia è chiara: sagrato appunto, perché consacrato e atto a sepoltura. Il sagrato, nel nostro caso, non conduce ai tradizionali sette gradini, rievocanti il pronao dei templi greci e simboleggianti i sette sacramenti, ma è pieno di suggestioni difficili da decifrare.

Paolo Paolini