Spesso ci si chiede come venivano conservati i cibi ai tempi in cui il moderno frigorifero ancora non esisteva, ebbene, i nostri antenati si erano ingegnati anche in questo: le neviere. La neviera non era altro che un sistema per produrre ghiaccio che serviva per la conservazione dei cibi, ma anche per alleviare alcune patologie come la febbre e contusioni. L’architettura di questa opera è molto semplice, veniva scavato un pozzo a forma conica capovolta con diametro interno di 10 metri circa per un’altezza di 5 metri circa, la struttura portante era un muro a secco; per garantire la permeabilità e non creare ristagni veniva inserito sul fondo un canale di scolo e uno spesso strato di tronchi, rami e foglie secche; in conclusione, quando era stata inserita neve con una forte pressione, si creava un altro strato di foglie secche e una copertura cilindrica di paglia con un’apertura che serviva da caricamento/svuotamento di neve. In Liguria e nello specifico a Genova, questo sistema venne adottato nelle alture fin dai tempi del rinascimento, quando ancora le nevicate erano abbondanti. Ebbe molto seguito soprattutto nelle grandi famiglie più agiate che ricorrevano al refrigerante naturale per raffreddare le bevande sulla tavola o per confezionare sorbetti ai nobili, suscitando nei medici del tempo serie preoccupazioni allo stato di salute dei propri pazienti. Presto si sviluppò un vero e proprio commercio del ghiaccio, con un aumento del prezzo tale che nel 1625 si decise di intervenire con un’imposta sulla sua importazione in città. La Repubblica Genovese nel 1640 decise di istituire una gabella sulla neve, concedendo l’appalto per l’approvvigionamento del ghiaccio all’intera città ad un unico impresario, con un contratto valido cinque anni. Un compito difficile nel quale bisognava tener conto di innumerevoli fattori, tra cui le condizioni climatiche e la grandissima quantità di ghiaccio che doveva essere raccolto. La produzione iniziava per l’appunto con la raccolta della neve da parte di una decina di braccianti che erano per lo più contadini della zona assunti dall’imprenditore. Quando il ghiaccio era pronto, durante la notte veniva tagliato in blocchi da 80 chili e avvolti in sacchi di tela e trasportato a dorso di mulo nel deposito in Vico della Neve. Il commercio del ghiaccio era un lavoro che non permetteva dii arricchirsi ma, tra periodi di produzione più florida e periodi di crisi, durò fino al 1870, per oltre due secoli. I resti di queste neviere nell’entroterra genovese, a pochi chilometri dal mare,  sono  numerosi e nella Valbisagno ne possiamo ammirare uno nei pressi del “Sentiero delle farfalle” segnalato da un’apposita targhetta esplicativa.

Quando le nevicate nel territorio genovese non erano copiose, si procedeva alla produzione del ghiaccio più in alto.  (1) Il laboratorio di Archeologia e Storia Ambientale (L.A.S.A.) dell’Università di Genova, ha infatti portato all’identificazione di due neviere, o fosse da neve, utilizzate nel corso dell’800 per rifornire di neve e ghiaccio la città di Genova. Le neviere erano scavate nel terreno, con le pareti rivestite da muretti a secco (in alcuni punti ancora visibili) e, una volta riempite di neve pressata, erano coperte con un tetto di paglia e legno. In un documento del 1818 scritto dall’appaltatore Luigi Campodonico e indirizzato al sindaco di Genova si legge: “Non essendo cadute nevi nei dintorni della città…fui obbligato di farne deposito nella Montagna di Antola mediante dei fossi in fatta di ghiacciaie”

1) citazione dal sito http://www.altavaltrebbia.net.

Articolo a cura di Paolo Congiu, autore dell’articolo è appassionata di storia della vallata e fotografo

Il cartello presente sul percorso del Diamante

Il cartello presente sul percorso del Diamante

 

La neviera oggi

La neviera oggi

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