Con il termine “riqualificazione” s’intende l’azione di cambiare e migliorare la qualifica di un oggetto. Un termine che esprime concetti spirituali estremamente positivi: quello del cambiamento, ossia dello sforzo umano di chi si oppone alla stagnazione e il fine di tale azione che è il miglioramento di ciò che si ritiene migliorabile.

Con questa premessa tuttavia non sfugge come l’applicazione di questa pratica assuma spesso connotati negativi ed è motivo di preoccupazione se non di contestazione. Perché avviene questo?

Villa Gio. Batta Invrea prima della “riqualificazione”

Fine Lavori

Intervento molto discutibile di “riqualificazione” della storica villa cinquecentesca di Gio. Batta Invrea a Genova Prato in Val Bisagno

Prendiamo per esempio il caso in cui l’amministrazione preveda un premio a chi demolisce una vecchia costruzione fatiscente per costruirne un’altra “riqualificata”. Questo premio molto spesso si realizza concedendo indici di edificazione volumetrica maggiori rispetto al vecchio costruito.

Questa pratica di per se non è negativa, nè positiva, perché i termini volumetrici, seppur significativi, non sono direttamente collegabili con l’impatto dell’edificio sul territorio e sull’ambiente. Per esempio una palazzina piccola con il tetto di amianto ed energivora può essere molto più impattante per l’ambiente di una palazzina più grande costruita con tecnologie bioedilizie, reversibile, riciclabile, a consumo di energia passivo, magari costruita in modo che il suo impatto estetico sia minimizzato e ben integrato nel paesaggio. In questi termini non è difficile pensare che una simile “riqualificazione”, pur ammettendo un aumento di volume, sia più che accettabile e conveniente per la collettività.

D’altra parte una società riluttante all’approfondimento non può che affermarsi con frasi di grande effetto mediatico come “costruire nel costruito”, senza tenere conto che se costruisco peggio di prima non ho alcun vantaggio e ho solo rinnovato l’elemento del degrado. L’efficacia di questi slogan trovano la loro ragione di essere perché frasi come “costruire nel costruito” sembrano voler intendere che non si costruirà mai più oltre ai confini di ciò che c’è già. Questo assunto sembra avere un connotato positivo perché troppo spesso i confini del costruito sono degradati e invivibili, quindi è sempre auspicabile non procedere oltre a tale degrado. Ci si dimentica tuttavia che ci sarebbero interi quartieri da demolire, territori da far ritornare al loro stato naturale per i quali l’applicazione del criterio del “costruire nel costruito” sarebbe un gravissimo errore,  occorrerebbe in tal caso parlare piuttosto di “decostruzione”.

La gestione dell’ambiente e del territorio è una materia complessa perché complessa è l’azione dell’uomo sugli elementi naturali intorno ad esso. Come è possibile racchiudere questa complessità all’interno di una  legislazione? Con l’uso di formule matematiche, algoritmi, termini e definizioni, quali sono gli elementi che non riuscirò a controllare, che volontariamente o involontariamente ho trascurato? Se la normativa è troppo complessa come posso limitare l’abusivismo? Secondo noi non esiste una norma sufficiente per racchiudere tutta la complessità delle azioni possibili. Il vero problema di come contenere l’abusivismo e la speculazione edilizia è da ricercare altrove, non in una legislazione per quanto buona o cattiva possa essere.

In Italia si ha un eccesso di legislazione ma non per questo le cose vanno meglio, anzi questo procedere fa capire come si tenti di dare ai cittadini una cornice edittale entro cui stare in assenza degli altri strumenti culturali di cui il paese è evidentemente sprovvisto, per tradizione o per formazione.

Per essere educati non serve una legge ma servono gli strumenti per sviluppare quella educazione. Se nel nostro paese si è concesso di costruire troppo e male, vi sono fenomeni di abusivismo e corruzione , non è solo una questione legislativa ma è soprattutto una questione culturale. Un’assenza di sensibilità e capacità del saper fare che comprende tutti i livelli della società, da chi domanda a chi propone, fino arrivare a chi è preposto alla decisione e al controllo.

Prima di ogni legislazione occorre che si formi una piena coscienza di come si deve gestire correttamente il territorio fra sfruttamento, valorizzazione economica, tutela ambientale, riqualificazione, difesa dei valori identitari del paesaggio, capire di volta in volta cosa sia accettabile fare per il bene della comunità.   Questo percorso deve avvenire senza contrapposizioni ideologiche, occorre escludere qualunque visione di un economia che agisce “secondo natura” dove beni e servizi sono raggiunti esclusivamente dalla mutua interazione fra venditori e acquirenti, ma occorre affermare la priorità della politica, ovvero le regole della convivenza sociale, incardinandole su modalità partecipative.

Questo procedere è l’unico modo, secondo noi, che garantisca la comprensione di ciò che richiede il territorio in tutta la sua complessità, culturale, economica, sociale.

Affermare questo principio significherebbe stimolare le risorse spirituali della collettività: università, ordini professionali, associazioni, istituzioni e cittadini insieme, con il fine di rimettersi in gioco ogni volta se ne presenti l’occasione, per offrire all’interno di questi percorsi inclusivi le soluzioni più innovative e accettabili per la comunità, percorsi senza i quali oggi le opere vengono realizzate da pochi interlocutori, (troppo spesso solo economici), al minimo ribasso anche in termini concettuali. Riteniamo che i tempi e le tecnologia per fare questo passo siano maturi.

Se non si è capaci di fare questo allora è meglio lasciare le cose come stanno, non “riqualificare” nulla, rimandare questo complicato compito alle generazioni future per evitare ulteriori danni, scempi del nostro territorio: in questo contesto trovano spazio le ragioni del “No”, la ragionevole paura del cambiamento, così che il termine “riqualificazione” assume un connotato negativo.  

Cementificazione

Particolare della costruzione dell’edificio ex Cementificio Italcementi a Genova Ponte Carrega